G. D’Annunzio – La pioggia nel pineto
Oggi parliamo di Gabriele D’annunzio, la cui opera si inserisce nel solco del Decadentismo, e della lirica La pioggia nel pineto.
G. D’Annunzio: la vita
Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da famiglia benestante.
A sedici anni pubblica, finanziato dal padre, la prima raccolta di versi, Primo vere. Compiuti gli studi liceali a Prato, si trasferisce a Roma per iscriversi alla facoltà di Lettere, ma non termina l’università perché distratto da avventure sentimentali e occasioni mondane.
Sia per le opere sia per lo stile di vita sfarzoso e raffinato, D’Annunzio diventa presto molto conosciuto nella società intellettuale del suo tempo.
Dopo aver cambiato diverse residenze e amanti, incontra l’attrice Eleonora Duse, con cui intreccia una relazione sentimentale e intellettuale.
La relazione con l’attrice accresce l’interesse per il teatro, per il quale scrive diverse opere.
Insieme alla Duse si trasferisce nel 1898 nella villa “La Capponcina” di Settignano, vicino Firenze.
Questo è stato il periodo più ispirato di D’Annunzio: in quegli anni vedono la luce molte sue opere.
L’artista ha importanza non solo per la storia della letteratura, ma anche per la storia politica.
Partecipa attivamente alle vicende politiche italiane.
Ricordiamo che, scoppiata la Prima guerra mondiale, D’Annunzio si schiera a favore dell’intervento e partecipa ad azioni di guerra di vasta risonanza come “La beffa di Bucari” e il volo su Vienna, ma soprattutto la città di Fiume compiuta con un gruppo di volontari nel 1919.
Nell’ultima parte della sua vita si ritira a Gardone Riviera, sul lago di Garda, nella villa chiamata il “Vittoriale degli Italiani”, che lo trasforma in un museo personale e che lascia in dono allo Stato italiano dopo la morte nel 1938.
G. D’Annunzio – Il culto di sé, della natura e della bellezza
D’Annunzio è il rappresentante del primo Decadentismo, legato ai miti dell’Estetismo («fare della vita un’opera d’arte», cioè la concezione della vita come opera d’arte, il cui unico scopo è la ricerca del bello e delle sensazioni estreme che esso suscita), del Superomismo («vivere una vita inimitabile») e dell’Individualismo (che si esprime nell’affermazione di sé al di sopra di ogni regola morale e delle convinzioni della società).
L’artista è perennemente alla ricerca di uno stile raffinato e di un linguaggio che sembri musica: infatti gioca con i suoni delle parole per riprodurre la voce della natura, sceglie vocaboli che non si usano più e inventa egli stesso termini nuovi.
È un esteta, cioè considera l’arte e la bellezza come valori assoluti; ha una grande considerazione di sé e si sente un “superuomo” dalla vita ineguagliabile.
Nel suo mondo poetico la natura e i sensi occupano un posto molto importante: la natura perché è considerata come forza cosmica da cui il poeta attinge l’energia e i sensi del piacere che permettono di provare.
G. D’Annunzio – La pioggia nel pineto: analisi
La lirica La pioggia del pineto fa parte della raccolta poetica Alcyone.
Le poesie presenti in questa raccolta evocano la storia di un’estate d’amore tra D’Annunzio ed Eleonora Duse, chiamata col nome mitologico di Ermione.
I contenuti celebrano la vitalità della natura e le metamorfosi, cioè le trasformazioni che regolano il ciclo della natura e la vita dell’uomo.
Ne La pioggia del pineto il poeta invita Ermione ad ascoltare la musica della pioggia che cade, prima rada poi scrosciante, sulla pineta. Le gocce risuonano sulle piante come su un grande pianoforte, emettendo note diverse. Il poeta si abbandona alla natura, sentendosene parte e provandone un piacere inebriante.
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Schema metrico: quattro strofe di trentadue versi liberi di varia ampiezza con un fitto gioco di rime e ritmi, assonanze, consonanze.
L’ultimo verso di ogni strofa è costituito dal nome di Ermione.
Prima strofa
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Analisi prima strofa
Taci.
(il poeta si rivolge alla donna amata, invitandola a tacere per ascoltare. Egli le attribuisce il nome di Ermione, simbolo di bellezza, come la mitica figlia di Elena e Menelao). Sull’ingresso del bosco non odo più le tue parole; ma odo parole inedite che sussurrano le gocce di pioggia che cadono sulle foglie in lontananza.
Il linguaggio della pioggia che cade sulle foglie è più interessante di quello umano per il suo fascino musicale.
Ascolta.
(il poeta invita la compagna ad ascoltare i suoni della pioggia Il verbo è all’imperativo come il precedente “Taci”). Piove dalle nuvole sparse. Piove sulle tamerici salmastre e arse(i tamerici, arbusti sempreverdi che crescono vicino al mare, sono impregnati di salsedine e bruciati dal caldo estivo), piove sui pini scagliosi e irti (“scagliosi” si riferisce alla ruvida corteccia dei pini, “irti” agli aghi pungenti delle foglie), piove sui divini mirti (il mirto, nell’antichità, era sacro a Venere), sulle ginestre luccicanti (per i fiori del colore dell’oro) di fiori raggruppati in ciocche., sui ginepri pieni di bacche profumate (“coccole aulenti”), piove sui nostri volti silvestri (cioè di creature della selva), piove sulle nostre mani nude, sui nostri abiti leggeri, sui freschi pensieri a cui dà vita (schiude) l’anima rinnovata(novella; la pioggia rigenera l’anima, la purifica); sulla bella favola che ieri ti illuse, che oggi mi illude o Ermione(la favola è la vita con i suoi sogni d’amore e con le sue illusioni).
Seconda strofa
Odi?
La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Analisi seconda strofa
Odi?
La pioggia cade sulla solitaria vegetazione del bosco (solitaria perché il bosco è isolato dai rumori che possono disturbare la musica della pioggia) con un suono che persiste (dura) e si diffonde con varie modulazioni (varia) nell’aria in base al fogliame più o meno folto su cui cade la pioggia (creando una musica armoniosa).
Ascolta.
Al pianto della pioggia risponde il canto delle cicale che né la pioggia portata dal vento dello scirocco (australe) né il cielo grigio riescono a spaventare(quindi a far tacere). Il pino ha un suono, il mirto un altro, il ginepro un altro ancora, come se fossero strumenti diversi suonati da numerose dita.
E noi siamo immersi nell’anima della selva (spirto silvestre), trasformati in creature arboree; e il tuo volto ubriaco è intriso di pioggia come una foglia, e i tuoi capelli profumano come le chiare ginestre, o creatura terrestre (generata dalla terra) che hai nome Ermione.
Terza strofa
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Analisi terza strofa
Ascolta, ascolta.
Il coro (l’accordo) delle cicale (aeree perché cantano sugli alti rami degli alberi), a poco a poco si fa più sommesso (sordo), mentre aumenta la pioggia (pianto); ma un canto si mescola alla pioggia e si confonde (vi si mesce), più rauco (roco, cioè il gracidare delle rane), che sale da laggiù, dalla parte del bosco più lontana (remota) battuta dalla pioggia (umida).
Più rauco (sordo) e più debole (fioco) si affievolisce (s’allenta), si smorza (si spegne). Solo una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne.
Non si sente il suono delle onde (voce) del mare. Ora si sente scrosciare su tutte le fronde degli alberi la pioggia che scende come fili d’argento, che purifica (monda; lo scrosciare della pioggia provoca una rinascita di tutte le cose, assumendo una funzione quasi sacra), il rumore varia secondo la densità del fogliame.
Ascolta.
La cicala (la figlia dell’aria) è silenziosa, ma in lontananza la rana, la figlia dello stagno, continua a cantare nell’ombra più scura, chi sa dove, chi sa dove!
E piove sulle tue ciglia, Ermione (l’attenzione del poeta, prima rivolta alla sinfonia del bosco e alle voci delle cicale e delle rane, ora ritorna ad Ermione. Le gocce di pioggia, che bagnano le ciglia della donna, sembrano un pianto che nasce dalla gioia della vita nuova in cui ella si sente immersa).
Quarta strofa
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti, or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Analisi quarta strofa
Piove sulle tue ciglia nere, che sembrano lacrime di gioia (per l’esperienza di unione con la natura); sembra che tu esca dalla corteccia (scorza) di un albero, quasi divenuta verdeggiante (fatta virente, come una creatura verdeggiante).
E tutta la vota è in noi fresca profumata, il cuore nel petto è come una pesca intatta, gli occhi tra le palpebre sono come sorgenti d’acqua (polle) tra l’erba; i denti nelle loro cavità (alveoli) sono come mandorle non ancora mature (acerbe).
(Si noti la trasformazione delle parti del corpo negli elementi della natura)
E andiamo di cespuglio in cespuglio (di fratta in fratta), ora abbracciati (congiunti), ora separati (disciolti), (e la forza tenace (vigor rude) delle erbe e dei cespugli ci stringe (ci allaccia) le caviglie (malleoli) e impedisce il movimento (c’intrica) delle ginocchia)
Chi sa dove, chi sa dove! (il poeta ripete lo stesso verso di poco prima, riferito alla rana, e troviamo la stessa sensazione di indeterminatezza che accompagna il procedere del poeta con Ermione, che non ha meta ma vaga nello spazio della natura, i due innamorati sono quasi storditi dalla nuova vita)
E piove sui nostri volti silvestri, piove sulle nostre mani nude, sui nostri abiti leggeri, sui freschi pensieri a cui dà vita l’anima rinnovata; sulla bella favola che ieri mi illuse, che oggi ti illude o Ermione (la lirica si chiude con la ripresa del tema della pioggia, con l’inversione dei pronomi “che ieri/m’illuse, che oggi t’illude”, che era nei versi 30-32: “ieri/t’illuse, che oggi m’illude”. La favole dell’amore lega il poeta ed Ermione con alterne illusioni).
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Come avete potuto notare la lirica presenta un fitto richiamo di rime, assonanze, consonanze, onomatopee e ripetizioni che danno un’estrema musicalità alla poesia.
La lirica è una sinfonia musicale. Nella sua etimologia di origine greca, il nome “sinfonia” significa “unione di suoni e di voci che formano un’armonia”.
Il poeta sceglie quindi le parole non tanto per il loro significato, quanto per il loro suono, così da creare la suggestione di una musica.
Il lettore si trova quasi immerso, con tutti e cinque sensi, in questa atmosfera di sogno e di armonia.
«Saremo felici o saremo tristi, che importa? Saremo l’uno accanto all’altra. E questo deve essere, questo è l’essenziale.»
– Gabriele D’Annunzio
Gabriella